Secondo un report pubblicato il 30 settembre 2025 da Research and Markets, il mercato globale dell’AI conversazionale passerà da 12,8 miliardi di dollari nel 2025 a oltre 136 miliardi nel 2035: una crescita dell’1100% in 10 anni! Una crescita trainata da aziende, grandi e piccole, che cercano modi per automatizzare il supporto clienti, tagliare i costi operativi e offrire un servizio più veloce.
Se sei il CEO di una PMI o guidi il team customer experience, probabilmente ti sei già chiesto: vale la pena introdurre un chatbot? È davvero utile o solo una moda del momento?
Su Social Thingum seguiamo da vicino l’evoluzione di queste tecnologie. Il nostro obiettivo è aiutare soprattutto le PMI italiane a capire quali strumenti adottare, come implementarli e farli funzionare davvero nel business. Ecco perché questo report è un’ottima occasione per fare il punto.
Il boom dei chatbot
Il report stima un tasso annuo di crescita del 23,98% per il settore della conversational AI fino al 2035. Il motivo è chiaro: l’assistenza automatizzata è diventata una priorità. Le persone si aspettano risposte rapide, su ogni canale e in qualsiasi momento. Le aziende, di conseguenza, cercano strumenti che permettano di gestire queste richieste senza aumentare i costi di personale.
I chatbot di oggi non sono più quei bot rigidi con tre risposte in croce. Sono sistemi intelligenti, che combinano tecnologie come:
- NLP (Natural Language Processing), che consente di comprendere il linguaggio umano;
- Machine learning, che aiuta a migliorare con l’uso tramite l’analisi di conversazioni passate e feedback per migliorare il riconoscimento degli intenti, ridurre gli errori, instradare meglio le richieste e selezionare la risposta più utile;
- Modelli generativi, che permettono dialoghi più naturali e flessibili.
Sempre più aziende stanno passando da semplici FAQ automatizzate a assistenti digitali che capiscono, decidono e agiscono: modificano ordini, gestiscono prenotazioni, offrono assistenza in tempo reale, senza dover coinvolgere un operatore umano.
I chatbot testuali sono ancora predominanti, ma le soluzioni vocali e multimodali (cioè che combinano voce, testo e interfacce grafiche) stanno crescendo più in fretta. Due i motivi principali:
- i miglioramenti nella tecnologia di riconoscimento vocale (ASR, Automatic Speech Recognition);
- e l’abitudine crescente degli utenti a parlare con le macchine come se fossero persone.
Anche la modalità di distribuzione sta cambiando. Il cloud è oggi lo standard, perché permette di aggiornare costantemente i sistemi e adattarli senza investimenti infrastrutturali pesanti, un vantaggio chiave per le PMI.
I settori più attivi? Secondo il report: retail, e-commerce e sanità guidano l’adozione, seguiti da education, automotive e servizi digitali. In tutti questi ambiti, la capacità di gestire interazioni rapide e scalabili sta diventando un asset competitivo.
E proprio le PMI mostrano il tasso di crescita più elevato: possono muoversi con agilità, accedere a soluzioni più accessibili grazie al cloud e sperimentare tecnologie prima riservate alle grandi imprese.
Insomma, non è più una questione di “se”, ma di “come” adottare queste soluzioni.
Come funzionano davvero i chatbot e cosa li rende “intelligenti”
Nel 2020, Gartner aveva inserito i chatbot nella fase di disillusione del suo Hype Cycle: le aziende quindi avevano già raggiunto aspettative altissime, ma le tecnologie disponibili offrivano esperienze rigide e poco efficaci. Oggi, però, l’AI generativa ha completamente cambiato il quadro. I chatbot attuali non si limitano più a rispondere a domande con risposte preimpostate. Sono diventati strumenti in grado di interpretazione semantica, contestualizzare e agire. E questa svolta li rende molto più utili nel concreto.
Ma come funzionano davvero?
Un chatbot moderno si basa su tre funzioni fondamentali:
- Interpretazione semantica del linguaggio dell’utente grazie al NLU (Natural Language Understanding), cioè l’elaborazione del linguaggio naturale. Il sistema analizza il testo e ne ricava il significato.
- Capire cosa vuole fare l’utente, cioè l’intento (per esempio: richiedere un documento, cambiare un ordine, fare una domanda su un prodotto).
- Gestire la conversazione in modo coerente, decidendo come rispondere in base al contesto.
Non tutti i chatbot fanno tutto questo. Possiamo distinguere tra:
- Chatbot di base: un chatbot di base è composto da un’interfaccia web e un back-end leggero, senza intelligenza artificiale né logiche complesse. Funziona come un assistente “a menu”: l’utente non scrive liberamente, ma sceglie tra opzioni predefinite che il bot propone sotto forma di pulsanti o messaggi suggeriti. Il chatbot si limita ad eseguire uno script: se l’utente digita una parola come “orari” o clicca su un determinato pulsante, restituisce la risposta associata. Si basa su regole fisse facendo un semplice matching su parole chiave (con un minimo di tolleranza per errori) e guida l’interazione lungo percorsi già definiti. Questo tipo di chatbot è utile quando si devono gestire FAQ semplici, richieste standardizzate o interazioni rapide, senza la necessità di flussi articolati o risposte personalizzate.
- Chatbot NLP avanzati: un chatbot NLP avanzato si basa su modelli di elaborazione del linguaggio naturale (Natural Language Processing) per analizzare il contenuto del messaggio e rispondere in modo più intelligente e contestuale è progettato per comprendere il linguaggio in modo molto più flessibile rispetto a un chatbot basato su regole. Non si limita a cercare parole chiave, ma riesce ad avere una comprensione semantica delle frasi anche se scritte in modi diversi. Ad esempio, su un e-commerce, può capire che “Avete scarpe da running sotto i 100 euro?” e “Mi servono scarpe da corsa economiche” sono due modi diversi di fare la stessa richiesta. È la scelta giusta quando bisogna gestire richieste variegate o meno prevedibili, come nel supporto clienti, nelle prenotazioni, nell’assistenza post-vendita o nella consulenza sui prodotti.
- Chatbot con Generative AI: un chatbot con Generative AI utilizza modelli linguistici avanzati, come ChatGPT, per sostenere conversazioni naturali, adattarsi al tono dell’utente e generare risposte su misura, anche in contesti complessi. A differenza degli altri chatbot, non si limita a selezionare risposte predefinite: comprende in profondità quello che l’utente scrive e costruisce risposte personalizzate in tempo reale. Per esempio, in ambito formativo, può suggerire corsi adatti in base alle risposte dell’utente, spiegare le differenze tra i moduli disponibili e perfino scrivere un’email di riepilogo con tutte le informazioni raccolte nella conversazione. Questo chatbot è ideale quando servono interazioni più ricche, capaci di gestire sfumature, contesto e bisogni specifici, come nel supporto avanzato, nella consulenza personalizzata o in esperienze conversazionali complesse.
Il vero salto avviene quando si parla di assistenti conversazionali intelligenti: sistemi che, oltre a dialogare, eseguono azioni concrete. In ambito aziendale, possono aggiornare un profilo su CRM, inviare documenti, fissare appuntamenti o risolvere richieste senza passaggi manuali. Questo è possibile grazie all’integrazione tra modelli linguistici avanzati e le API dei sistemi aziendali. Il bot interpreta l’intenzione dell’utente e attiva direttamente l’azione corrispondente su software come CRM, calendario ticketing. In questo modo, l’assistente non si limita a fornire risposte, ma può eseguire operazioni reali in modo autonomo ed efficiente.
La differenza tra un semplice bot e un assistente conversazionale non è solo tecnica: è strategica. Il primo ti aiuta a risparmiare tempo. Il secondo diventa parte attiva dei tuoi processi interni.
Il caso di Air Canada: quando il chatbot ti porta in tribunale
Non tutti i chatbot funzionano bene. Per essere davvero efficaci, devono essere progettati con attenzione, configurati correttamente e soprattutto consapevoli dei propri limiti. Un assistente virtuale deve sapere quando passare la palla a un operatore umano, soprattutto in situazioni delicate o fuori standard. Quando questo non accade, i danni – economici e reputazionali – possono essere seri.
Un caso emblematico è quello di Air Canada, finita al centro di un contenzioso legale proprio a causa di un chatbot mal configurato.
Nel febbraio 2024, un passeggero di Air Canada aveva chiesto al chatbot della compagnia se avrebbe potuto ottenere un rimborso retroattivo per un volo acquistato per partecipare a un funerale. L’assistente virtuale aveva confermato l’idoneità al rimborso, rimandandolo a una procedura apparentemente prevista dalla compagnia. Tuttavia, una volta inoltrata la richiesta, Air Canada ha rifiutato il rimborso, sostenendo che l’informazione fornita dal chatbot fosse errata e non vincolante.
Il passeggero ha fatto causa, e il tribunale della British Columbia gli ha dato ragione. La sentenza è stata chiara: Air Canada è legalmente responsabile per le informazioni fornite dal proprio chatbot, che agisce come estensione dell’azienda stessa. Il giudice ha sottolineato che l’utente non ha alcun modo di distinguere tra un “agente umano” e un “agente automatizzato” sul sito della compagnia, e che le dichiarazioni dell’assistente virtuale non possono essere considerate meri errori tecnici, ma rientrano pienamente nella sfera di responsabilità aziendale.
Questo precedente giuridico dimostra che l’implementazione di un chatbot non è solo una questione tecnologica, ma implica anche una chiara strategia di compliance, supervisione e gestione del rischio. Un assistente conversazionale mal progettato o lasciato senza controllo può diventare una fonte di vulnerabilità, non solo sul piano dell’esperienza utente, ma anche dal punto di vista legale.
Conclusione
L’AI conversazionale è passata dalla sperimentazione alla fase strategica. La scelta non è “se adottarla”, ma quale livello attivare e come integrarlo con processi e KPI.
Scegli in modo strategico. Contatta il team di Social Thingum e scopri la soluzione conversazionale più adatta alla tua azienda.

